Galeotta fu la Racchetta da Tennis

Pubblicato da Giovanni Carnaroli


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Dedica – dedico questo racconto a mia madre che non si chiamava Giulietta ma solo Antonia e che tanto ha pianto il suo Romeo, ma lo dedico anche a mio padre Romeo che ho sempre chiamato babbo e non Romeo. Un ricordo anche a mia nonna Enrichetta, un nome che a pronunciarlo è una carezza! Ringrazio infine i miei genitori che hanno scelto di chiamarmi Giovanni, mi piace tanto questo nome, mi dispiace di morire perché mi piace troppo sentirmi chiamare Giovanni. Se mi volete bene chiamatemi Giovanni che’ io mi emoziono!!!

racchetta-galeotta

Era mio padre quello che a otto anni mi comprò una racchettina da tennis di legno vestita! Me lo ricordo benissimo come se fosse ieri! Mamma stava preparando il pranzo e s’accorse che mancava il pane, fu così che incaricò il babbo di andare a prenderlo. Lui mi disse – Vieni con me! – Andammo in in un negozio che vendeva il pane ma anche altri oggetti e il babbo comprò il pane ma alla cassa io non c’ero, mi ero soffermato ad osservare su uno scaffale alcuni oggetti ma la mia attenzione si era posata su una racchettina di tennis, di legno vestita, mi ricordo pure la marca – Silver Cup – con corde di nylon dal colore bianco e blu. Il babbo mi cercò, mi trovò, mi accontentò. Cosi uscimmo da lì con babbo che teneva in mano il pane e con Giovanni che teneva in mano una racchettina.

Arrivammo a casa e grande fu lo stupore di mia madre, di mio fratello e di mia nonna quando mi videro arrivare con quella sola racchettina, si perché il babbo, burlone, aveva nascosto il pane. Tra l’ilarità generale la domanda di mamma fu – e che oggi mangiamo un battipanni? Si, perché per mamma quella era un battipanni, per lei il tennis non esisteva. Poi si chiari tutto, apparve il babbo con il pane ma io non mi separai dalla mia racchettina, la posi accanto alla spalliera della sedia e mangiai con l’idea fissa di provarla. Si sa quando compri un oggetto non vedi l’ora di usarlo!

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Quindi mangio di fretta e di malavoglia perché non vedevo l’ora di giocarci. Ma c’era un problema, la pallina! Il babbo me ne fabbricò una con la carta, un po’ faceva ma non rimbalzava. Mio padre era un uomo molto buono, faceva il ragioniere presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura. Tutti lo conoscevano in città e lui cercava di aiutare tutti quelli che glielo chiedevano. Amava parlare con la gente e la gente gli voleva bene! Mi è capitato più volte essere stato fermato per strada da gente che mi diceva – tuo padre era buono, se poteva aiutava tutti ed era bello averlo in compagnia – Anch’io credo di essere così, mi piace condividere perché credo che nella vita sarai ricordato più per quello che hai dato agli altri che per quello che hai accumulato.

Tengo moltissimo al fatto che la gente serbi un buon ricordo di me, così posso entrare in competizione con il tempo che tutto azzera. Con il buon ricordo e la buona memoria un uomo continua continua a vivere anche dopo, senza scomodare la “reincarnazione”, sono laico perché voglio credere negli uomini e nella loro “humanitas”! Era mio padre, io lo amavo ma lo temevo pure, insomma era una figura forte, lui c’era e si vedeva e si sentiva. Possedeva una Fiat 600 e una potente grossa moto Ducati, molto bella, rossa, quel motore aveva un rombo particolare. Mi ricordo quando la metteva in moto e gli dava il gas e mi diceva – Senti come canta? – ma la mamma e la nonna disapprovavano e dicevano – Spegni quel coso che’ disturbi tutto intorno! -. Si sa le donne con i motori hanno un rapporto doppio, da una parte ne sono attratte ma dall’altra parte provano anche paura. Infatti i motori ti danno l’ebbrezza della velocità che da un lato è bella ma è anche pericolosa. Insomma credo che le donne amino i motori così come amano gli uomini! Anche gli uomini danno loro felicità, positività ai loro progetti e financo sicurezza ma noi uomini siamo anche pericolosi se tutta la nostra forza non la incanaliamo nella giusta direzione!

Da una pallina di carta passai ad una pallina da tennis vera e propria e cominciai a giocare nel cortile, usando il muro di casa. Oggi si dice – Piuttosto che parlare con te preferisco parlare con il muro! – per dire che tanto è inutile! Invece bisogna dire che il muro è un avversario terribile, non parla, non suda ma non si stanca, ed è pure sempre disponibile! Ma il muro contiene una insidia rappresentata dalla finestra e il muro che io utilizzavo non faceva eccezione. E così’ mentre giocavo una pallina malandrina, figlia di un colpo malandrino centrò la finestra della camera da letto. Il problema della finestra è che è composta in massima parte da vetri che si ruppero nel modo che conosciamo. La rottura di un vetro è impressionante, un po’ come il pianto di un bambino, perché se è vero che il vetro ha senso se è intero, anche il bambino è meglio che rida piuttosto che pianga (a proposito vi siete mai chiesti perché le bimbe strillano e i bimbi piangono? Perché? Questa cosa mi ha sempre incuriosito, gli uomini urlano le donne gridano, boh, così va il mondo!).

Insomma quando un vetro si rompe fa un rumore sinistro e si rompe in più pezzi assolutamente irregolari seguendo la regola dal più grosso al più piccolo fino ad arrivare al millesimo di vetro che è poi quello che non vedi ma lo sentì quando ti taglia!! Ti fa spavento e pure un immediato disordine che solo una pulizia certosina può risolvere definitivamente. Ebbene ” galeotto” fu quel colpo, eh si perché nel tennis funziona così – se il giocatore è bravo e il colpo è ben dato la pallina fa come il soldato, centra l’obiettivo. Ma se il giocatore non è bravo e il colpo è velleitario, la pallina diventa libertina e traditrice perchè non va “dove ti porta il cuore” ma va dove vuole, e irresponsabilmente combina guai! Rimasi malissimo ma anche la racchettina si sentiva in colpa! Ma quel che mi meravigliò fu la calma, la pacatezza, la pazienza e la comprensione di babbo e mamma. Ho pensato spesso a questa cosa e alla fine ho trovato una mia risposta. Loro l’avevano messa in conto questa cosa, senza piangere sul latte versato e senza spendere parole cattive nei miei riguardi di cui poi pentirsi per averle dette, mi dissero solo che i pericoli ci sono sempre, anche quando non sono visibili! Io, che già ero piuttosto sveglio, avevo interpretato la frase come una minaccia nei riguardi della mia racchettina. Ho temuto che diventasse legna da ardere nella stufa posta in cucina. Ma erano mio padre e mia madre e mi volevano bene, non successe nulla di tutto questo.

Secondo me voler bene è saper perdonare, dare solidarietà nel momento del bisogno, Questo è stato il messaggio che mi è stato dato dai miei genitori. E’ anche quella solidarietà che voi, amici in rete, mi avete dato nel momento del bisogno. Si può dire che è come se avessi una seconda famiglia in rete! E’ stato troppo bello! Comunque il giorno dopo babbo mi accompagnò al circolo tennis, li c’erano i campi e non le finestre! Grazie babbo, te lo dico anche oggi e tu da lassù mi sentirai. Li incominciai a giocare; ragazzi, se volete che i genitori vi accompagnino al circolo tennis centrate il vetro di una finestra di casa e la cosa è fatta! “Non tutto il male viene per nuocere”!

Credo che la vita sia bella da vivere nella sua varietà e nelle sue sfumature. Ho avuto una educazione bella perchè non forzata ma motivata, erano i miei genitori e mi hanno dato sempre libertà di pensiero e di azione ma mi hanno responsabilizzato, ho capito che avevo una grande fortuna ad avere dei simili genitori e che non potevo tradire la loro fiducia. Così mi è nata una mentalità cosmopolita, molto aperta, socievole e civile, ritengo che la vita sia come un mare aperto ed io mi sento, più che un cittadino, un vero marinaio! Ma da cittadino o marinaio che sia mai siamo del tutto pronti ad affrontare un’emergenza!

Il babbo va in ospedale, ricordo che in casa c’era una grande preoccupazione ma fu una brevissima parentesi. Mi ricordo la visita in ospedale a mio padre, era a letto con un pigiama color azzurrino, aveva dei tubi al naso e nelle braccia, il viso era scuro,stava male, respirava a fatica ma era mio padre, lui mi prese la mano e mi disse – Se esco di qua andiamo a rompere un vetro con la racchetta – Capite, era mio padre, si chiamava Romeo, stava morendo e lui scherzava con me! Si congedò da me con una battuta. Eh già, mio padre si chiamava Romeo! Ma come sarà venuto in mente a mio nonno di chiamare suo figlio Romeo, un nome da letteratura, speciale. Mi è dispiaciuto molto averlo perso presto perché l’ho chiamato babbo, mai Romeo, mi manca tanto il babbo e il suo nome!

Beh, fuori dalla stanza nel corridoio c’era mia madre che piangeva. Mia madre che piangeva è stata una cosa traumatica per un bambino come me, lei, la mia mamma, la donna delle mie certezze piangeva, i suoi bellissimi occhi erano appannati e ricolmi di lacrime e c’era li vicino un medico che aveva messo una lastra attaccata al vetro di una finestra per farle vedere il cancro che babbo aveva nei suoi polmoni. Il giorno dopo Antonia, si chiamava così ed era mia madre, mi riportò in ospedale in quella stessa camera a vedere per l’ultima volta mio padre. Era morto, era mio padre, si chiamava Romeo e lei non era Giulietta e si chiamava Antonia. Io avevo perso mio padre , lei aveva perso un marito! Li ho capito cos’è’ la morte: quel viso fermo, quegli occhi sigillati, si dice che la morte assomigli al sonno, non è vero, quel viso era spento, la bocca serrata e quelle mani li a far niente ed infine quelle scarpe nuove assolutamente inutili e poi quel completo nero giacca e cravatta perché la morte lo pretende l’abito e anche la posa!!!

Ho capito che non avremmo potuto più’ rompere vetri con la racchetta! Lo guardavo, quelle orecchie che niente più’ percepivano il pianto dei familiari,mi avvicinai prima che chiudessero la bara e gli diedi un bacio sulla fronte ma lui non disse nulla, neanche una battuta! Mi ricorderò’ sempre quella fronte fredda, fredda come un pezzo di marmo che è’ rimasto fuori in una notte d’inverno! La morte è’ fredda come la neve ma la neve è’ bianca e la morte è’ nera, la neve copre, avvolge un mondo che c’è’ sotto, la morte ti toglie dal mondo! Di una persona che muore si dice “ha tirato le cuoia”, è’ una espressione orrenda, horror, oppure ” è’ passato a miglior vita”( e perché’ migliore?), è’ scomparso, è’ defunto( altra espressione burocratica terribile),senza scomodare “eil fu” di poetica memoria! Con la morte il tempo non c’è’ più’ ed entri nell’eternita’.Se il tempo non lo immagino in nessuna forma invece l’eternità la vedo come un enorme lenzuolo bianco che tutto copre e separa dal mondo. Quando vai in un cimitero avverti che li’ non c’è’ il tempo ma l’eternità’: è’ sempre tutto uguale, il sole si sente inutile, la luna non sorride, non c’è’ mattina,pomeriggio, sera , non c’è’ la siesta, l’apericena , c’è’ l’eternità’. Li’ anche il silenzio non è’ quiete ma morte. Gia’ poi il coperchio che chiude la bara per sempre , il rumore sinistro della fiamma ossidrica simile al sibilo di un serpente velenoso che stende lo stagno in un abbraccio fatale con la parte anteriore della bara.Addio per sempre Romeo, un babbo davvero speciale. Ti prometto che tutte le volte che giocherò’ a tennis penserò’ a te!!!

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