Monica Seles, la tennista degli anni ’90

Pubblicato da Giovanni Carnaroli


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Monica Seles, la tennista degli anni ’90, agonista e compulsiva tennista di Novi Sad. Vinceva che era ancora una bimba ma la chiamavano “la belva di Novi Sad”!

Monica ma anche Monia, un nome carino e delicato, quello di chi gioca con le bamboline, me la immagino, poi osservo il suo viso di bambina, con due treccine che a mó di pertica scendon giù a solleticare il collo, allora dici, Monia sarebbe meglio, dolce il nome come il suo viso si presenta. Però poi quando la vedi di racchetta armata allora la chiameresti Monique alla francese, con quella”q” che la travasa da bimba a ragazza, ma non è francese bensì ex yugoskava ora serba allora Monica, va bene!

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È stata una grandissima campionessa, colpiva la palla come assassina che “assassina la sua vittima! Pugnace, audace, vera Giovanna d’Arco del tennis, aveva un tennis offensivo, di spinta, un senso del tempo spiccato che la faceva giocare d’anticipo con quella facilità dei fuoriclasse che ti mostrano come facili soluzioni enormemente complicate tanto da apparire agli “amatori” addirittura impossibili.

Molti fuoriclasse hanno in comune la precocità, arrivano a conquistare successi importantissimi in età “green”, quando non guidi l’auto e non voti, insomma da ragazza/o. Monica non ha fatto eccezione a questa regola non scritta da nessuna parte ma assai presente nei curricula dei campioni e campionesse! Colpiva quel viso da bambina con i capelli raccolti dietro prendendo la forma di una ruota, come quella di Lucia dei Promessi Sposi. Ma Lucia aveva uno sguardo dolce e delicato invece Monica con la racchetta era bellica, guerresca, uno sguardo da “cime tempestose” mica da Madonnina infilzata!

Il suo tennis d’anticipo

Me la ricordo benissimo come giocava, tutto d’anticipo e ad ogni colpo guadagnava campo come fante che ha saltato la trincea e che furtivo e combattivo guadagna terreno scacciando il nemico in un film di guerra dai sottotitoli “Mors tua vita mea”, anche lì non c’è il pareggio come nel tennis!

Era poco più che bambina, chiamiamola ragazza e tirava così forte che restavi impressionato: non lo dicevi ma lo pensavi, a guardarla: e questa chi la ferma? Giocava i colpi a due mani e colpiva la palla mentre saliva rendendo la palla un bossolo, un proiettile che arrivava in anticipo, era come prendere la palla prima che avesse compiuto l’ascensione, diventando ingombrante e scontrosa.

Aveva un viso quasi sferico, i capelli biondi ma non lucidi, stavano uniti a far massa come i soldati che uniti si sentono parte del plotone. e diventan commilitone, una fronte che dava il giusto spazio alle emozioni che ci coloran la vita con le nostre azioni e pensieri, poi due occhi celesti come quei cieli estivi del primo mattino, una bocca carina abitata da denti non troppo grandi che posson sembrare dadi ma neanche troppo piccoli come quelli dei delfini, no, ce li aveva perfetti nella dimensione giusta e giustoallineati come tante reclute rispettose e timorose nel primo giorno di naja.

Insomma aveva quei denti che tutte le ragazze chiedono ai dentisti prima del sacrificio dell’uso dell’apparecchio. Un naso femminile, che era lì ma che li non stava, c’era con tutti i suoi sacramenti, pardon elementi, volevo dire. Con una bocca siffatta esprimeva simpatia e per parlare difficile potrei anche dire che era un elemento empatico quando alla fine della partita sorrideva con tutti quei bei abitanti, pardon, volevo dire denti! Eppure da quella bocca in gara uscivan urla, grida, erano le note con cui accompagnava, pardon musicava i suoi colpi.

Si, lei era una di quelle che infiocchettavano i colpi con la sonorità vocale, più avanti ci sarà un’altra adepta al vocalismo tennistico, una certa Maria Sharapova, una russa ma anche americana, più alta di una betulla, lunga o estesa come la Siberia . Ma torniamo a noi: la nostra Monica aveva dimensioni più contenute ma non urlava di meno e non tirava più piano della Sharapova che non anticipava la palla!

Da Novi Sad all’Accademy di Nick Bollettieri in Florida

Era nata a Novi Sad, in Jugoslavia, allora ancora esisteva . Sappiamo poi come è andata a finire poi con il crollo del comunismo, la guerra civile, migliaia di morti, la pulizia etnica come se le guerre mondiali non avessero ancora insegnato abbastanza che la guerra è un abisso e che non esistono le guerre giuste!

Nasce il 2 dicembre del 1973 in quella cittadina Novi Sad ma fiorisce all’Academy di Nick Bollettieri, il santone del tennis in quel di Bradenton in Florida. Fu lui che la mise a giocare ancora bambina con giocatrici più grandi di lei di otto-dieci anni: una curiosità. Tra queste tenniste c’era anche la nostra Raffaella Reggi, ora commentatrice SKy per il tennis.

Bollettieri le modificò i movimenti in apertura, le suggerì di usare meno il polso per evitare dolorose te di iti, inoltre rese più fluido il servizio modificandole il lancio di palla e leve e capire che conquistato il campo avrebbe dovuto finalizzare lo scambio con uno schiaffo al volo, guai a parlare di volée!

Se non ci fosse stato l’attentato…


Il giorno in cui conquistò il suo terzo e ultimo Roland Garros, nel 1992, tra il pubblico pare ci fosse pure una bambina di dieci anni che un giorno sarebbe diventata quattro volte regina di Parigi: Justine Henin. Due fuoriclasse legate da ossessioni, da fantasmi che probabilmente le accompagneranno per tutta la vita.

Quanto avrebbe vinto di più se non avesse subito quell’attentato che le ha rovinato una parte della carriera! Ma chi fosse Monica l’ha comunque dimostrato: era una campionessa, perché giocava a tennis come se fosse in un campo da ping pong invece era in un campo da tennis, vero Agassi? Anche l’Andreino giocava dentro il campo anticipato nei colpi e nella camminata!

Era determinata e talentosa, questo fa il campione: non basta la caparbietà o il solo talento, entrambi debbono andare in chiesa a sposarsi e diventare una cosa sola come in un atto d’amore fanno gli sposi! E lei era taleentuosissima e determinatissima tanto da appellarsi “la belva di Novi Sad”! E, si badi bene, ho detto la belva non la bimba, anche se bimba era ancora ma belva già sembrava!

Il prof. Giovanni Carnaroli

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